Quando PENSIONE vuole dire DEPRESSIONE

Quando PENSIONE vuole dire DEPRESSIONE

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“Non vedo l’ora di andare in pensione!


Quante volte abbiamo pensato o detto questa frase?
Nell’immaginario di chi lavora e ha ancora vari anni prima della pensione, quest’ultima rappresenta un sogno idilliaco, un traguardo agognato e spesso idealizzato: finalmente tempo libero, relax, assenza di responsabilità e sensazione di rinascita! Però non tutti riescono a godersi il congedo dal lavoro come avevano previsto. Innanzitutto questo può avvenire perché non si può più continuare a fare quello a cui ci si è dedicati per una vita, quello che ci dava un ruolo e che per molti ormai faceva parte della propria identità. Questo vale soprattutto per chi aveva posto la propria attività lavorativa al centro della sua quotidianità e al centro dei propri pensieri. Per queste persone, oltre a cambiare di molto la routine giornaliera nelle cose concrete, la loro vita cambia anche a livello più astratto e psicologico. Infatti la pensione può rappresentare per molti una perdita che può portare a sentimenti che vanno dalla lieve tristezza fino ad intense sensazioni di scarsa autostima, inutilità e vuoto tipiche della depressione.

Nei casi di maggiore sofferenza si può parlare di depressione reattiva.
Si parla di depressione reattiva quando è strettamente legata al sopraggiungere di un avvenimento esterno impattante, come un lutto, una separazione, l’insorgere di una malattia o anche il pensionamento.
Si cade, così, in uno stato di profonda tristezza e apatia, in cui si perde interesse per noi stessi e per quello che ci circonda, perdendo fiducia nelle proprie possibilità, arrivando ad un generale calo di “carica” con cui affrontare le giornate. Si rileva spesso una svalutazione di se stessi, una mancanza di autostima, una grande ansia, una stanchezza permanente e un senso di inutilità rispetto a qualsiasi azione od evento.
Anche verso le persone care si può tendere a mostrare un atteggiamento di freddezza e distacco e ad avere una certa facilità ad infastidirsi e ad essere di cattivo umore. A questo poi si può anche aggiungere il progressivo peggioramento del sonno che fiacca ulteriormente il corpo  e che lo rende pesante come se ogni azione, anche la più semplice come la cura del corpo o il risveglio mattutino, diventassero impossibili. La persona depressa con il senso di colpa che prova può arrivare ad alimentare questo suo stato,riducendo ulteriormente la propria autostima ed arrivando, in alcuni casi, a pensare che togliersi la vita sia l’unica soluzione.

Cosa si può fare prevenire?

Innanzitutto rendere le aspettative sul pensionamento più realistiche e concrete, senza fermarsi a pensare che sarà un bel periodo e punto. Potrà infatti essere un bel periodo se già qualche mese prima iniziamo a pensare, progettare e predisporre concretamente quello che vorremmo fare quando finalmente ne avremo la possibilità. Meglio se le attività che scegliamo sono quelle che desideriamo fare da tempo e se prevedono la presenza di altre persone, per es.: iscriversi a corsi artistici, sportivi, letterari ecc.., incontrare amici o conoscenti, dipingere, suonare uno strumento, fare volontariato o anche solo dare una mano a qualcuno, fare giardinaggio, passeggiate nella natura, fare fotografie, progettare e fare qualche gita o un viaggio, e chi più ne ha più ne metta!!
La cosa importante è quella di pianificare quando fare queste attività e farle anche se non se ne ha tanta voglia, perché meno si fa, meno si farebbe.

Cosa si può fare per curare?

Quando ormai la tristezza e il vuoto la fanno da padroni e non si ha la voglia o la forza nemmeno per iniziare una delle attività desiderate, allora è meglio chiedere aiuto ad uno specialista.
Nel caso specifico della depressione reattiva, infatti, gli studi consigliano un trattamento psicologico che aiuti la persona a sviluppare una reazione più adattiva e funzionale al cambiamento doloroso. In particolare, la letteratura scientifica e le linee guida internazionali (per es.: American Psychiatric Association) affermano che l’approccio cognitivo-comportamentale sia efficace anche più di un trattamento farmacologico.


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